L’adattamento del riso ai cambiamenti climatici si gioca su un piccolo gruppo di geni individuati da una ricerca internazionale, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Genetics. Questo risultato, raggiunto da King Abdullah University of Science and Technology (KAUST, Arabia Saudita), Università di Wageningen (Paesi Bassi) e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, rappresenta una svolta cruciale per una coltura che sostiene oltre 3,5 miliardi di persone nel mondo.
La storia genetica di un alleato millenario
Il riso, una delle prime piante coltivate circa 10.000 anni fa, ha subito nei secoli una progressiva erosione della propria diversità genetica. Gli agricoltori, mirando a incrementare la resa e il valore nutrizionale, hanno involontariamente limitato la resilienza della pianta agli stress ambientali. In contrasto, le specie selvatiche di riso, libere dall’intervento umano, hanno preservato una ricchezza genetica che oggi si rivela fondamentale.
I parenti selvatici: un tesoro genetico contro la crisi climatica
Guidati da Rod Wing (KAUST e Università dell’Arizona), Eric Schranz (Wageningen) e l’italiano Andrea Zuccolo (KAUST e Scuola Superiore Sant’Anna), gli scienziati hanno esaminato il Dna delle varietà selvatiche. La loro analisi ha rivelato la presenza di geni capaci di rafforzare la resistenza della pianta a temperature elevate, suoli secchi e ambienti salini — condizioni sempre più diffuse a causa del cambiamento climatico.
Secondo quanto dichiarato da Eric Schranz, “l’analisi del genoma svolta in questo studio permette di comprendere come si sono evoluti il riso e i suoi parenti selvatici, e offre una base completa per sviluppare colture più robuste“.
Un futuro agricolo più resiliente
La scoperta genetica apre nuove possibilità: introdurre il riso in regioni inospitali oggi impraticabili e migliorare la sicurezza alimentare globale. Un progetto ambizioso che, partendo dalla comprensione della biodiversità naturale, punta a costruire varietà adattabili e resistenti alle sfide ambientali del XXI secolo.
Fonti autorevoli estere hanno già dato rilievo a questa scoperta, tra cui Nature Genetics (link all’articolo originale).