Il paradosso dei social media: connessione o dipendenza?
I social media, nati come strumenti per rafforzare le relazioni e stimolare la creatività, sono diventati spesso sinonimo di ansia digitale. L’abitudine diffusa del doomscrolling, ovvero lo scorrere compulsivo di contenuti negativi, non è solo una distrazione: è un comportamento che può influenzare profondamente salute mentale e qualità della vita. A sottolinearlo è uno studio dell’Università di Bristol, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica ACM Transactions on Computer-Human Interaction (https://dl.acm.org/doi/10.1145/3640329).
Motivazioni diverse, esperienze diverse
Il cuore dell’indagine risiede in una constatazione semplice ma rivoluzionaria: non tutti viviamo i social media allo stesso modo. I ricercatori hanno raccolto dati da 500 utenti, applicando un algoritmo di machine learning personalizzato per identificare pattern comportamentali e motivazionali. Sono emersi quattro profili distinti di utilizzo:
- Gli utenti guidati socialmente accedono principalmente per pressioni esterne o aspettative del gruppo. Questo uso forzato li porta spesso a sentimenti di frustrazione o alienazione.
- I navigatori automatici interagiscono con i social in modo meccanico e inconsapevole, spesso senza alcun obiettivo preciso. Sono i più inclini a rimpiangere il tempo trascorso online.
- Gli utenti profondamente investiti vedono i social come parte integrante della propria identità e dei propri obiettivi personali. Eppure, nonostante l’impegno, non sono immuni da uso eccessivo e insoddisfazione.
- Gli utenti Goldilocks, infine, rappresentano il modello ideale: trovano valore nelle piattaforme digitali ma mantengono distanza critica e controllo sul proprio utilizzo.
Riprogettare le piattaforme per servire le persone
Dan Bennett, autore principale dello studio, ha sottolineato come la personalizzazione del design delle piattaforme sia la chiave per promuovere un’interazione più sana e sostenibile. Invece di spingere gli utenti verso un coinvolgimento costante e passivo, i social network dovrebbero adottare interfacce dinamiche e adattive, capaci di:
- suggerire pause strategiche a chi tende a esagerare,
- aiutare chi si sente socialmente obbligato a fissare confini chiari,
- offrire strumenti di consapevolezza e feedback in tempo reale sul tempo trascorso.
Questo approccio non solo favorirebbe un maggiore benessere individuale, ma aprirebbe anche la strada a una relazione più etica tra utenti e tecnologia.
Oltre i social: un nuovo paradigma del design digitale
I risultati dello studio non si limitano all’universo dei social media. Lo stesso modello motivazionale è stato riscontrato anche in altre sfere digitali, come i videogiochi o le app di benessere. Questo suggerisce una riflessione più ampia: la necessità di sviluppare tecnologie che non puntino a massimizzare l’attenzione a tutti i costi, ma che incentivino un uso consapevole e soddisfacente.
Ripensare il nostro rapporto con gli strumenti digitali non significa rinunciarvi, ma piuttosto riconoscere le nostre intenzioni e trasformarle in alleati per una vita più ricca, meno dispersiva e più significativa.