Un universo sommerso ancora ignoto
L’oceano profondo, definito come qualsiasi porzione marina con profondità superiori ai 200 metri, copre circa il 66% della superficie terrestre. Eppure, nonostante questa estensione, la sua esplorazione diretta da parte dell’uomo è quasi inesistente. Secondo una nuova ricerca pubblicata su Science Advances, soltanto lo 0,001% del fondale oceanico è stato effettivamente osservato visivamente.
Un patrimonio sconosciuto sotto la superficie
Dal 2017 a oggi, la mappatura del fondo marino è cresciuta in maniera importante, passando dal 6% a poco più del 25%. Un progresso notevole, seppur limitato rispetto all’immensità dell’oceano. Ma il dato che colpisce è un altro: le osservazioni dirette, cioè tramite videocamere o altri strumenti visivi, riguardano una porzione estremamente marginale e non rappresentativa del totale.
Dati da 43.681 spedizioni rivelano una copertura minima
Il team di ricerca ha analizzato 43.681 missioni subacquee condotte da 14 nazioni in 120 Zone Economiche Esclusive (EEZ) e in acque internazionali. Da questi dati è emerso che la copertura visiva oscilla tra 2.130 e 3.823 km², un’area paragonabile a quella di una piccola regione italiana. Gran parte delle spedizioni si è concentrata entro i 370 chilometri dalle coste di Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda, con Francia e Germania a completare il gruppo dei principali protagonisti, responsabili in totale di oltre il 97% delle esplorazioni.
Tempi di mappatura insostenibili con le tecnologie attuali
Al ritmo attuale di 3 km² di osservazioni l’anno, anche schierando 1.000 piattaforme operative simultaneamente, ci vorrebbero oltre 100.000 anni per ottenere una copertura completa del fondo oceanico. Questo scenario rende evidente la necessità di un cambiamento radicale nell’approccio alla ricerca oceanografica.
La chiave potrebbe essere l’automazione
L’adozione di tecnologie autonome per le esplorazioni sottomarine potrebbe rappresentare la svolta necessaria, abbattendo significativamente i costi e ampliando la frequenza delle osservazioni. Progetti come Seabed 2030, che ambisce a mappare ogni angolo degli oceani entro il 2030, si basano proprio su questo principio.
Perché conoscere il fondale marino è fondamentale
Comprendere l’oceano profondo non è un lusso scientifico, ma una necessità. Influisce direttamente su fenomeni globali come la produzione di ossigeno, il clima terrestre, la circolazione oceanica e persino sulle applicazioni mediche, grazie a molecole prodotte da organismi come le spugne abissali. Non avere accesso a queste informazioni rappresenta un enorme limite nella gestione sostenibile del nostro pianeta.