Il percorso del virus attraverso la Cina somiglia a quello della SARS del 2002
Una recente indagine pubblicata sulla rivista Cell fornisce nuove evidenze che indeboliscono ulteriormente l’ipotesi della fuga di laboratorio come causa primaria della pandemia da COVID-19. Secondo il professore Joel Wertheim della Scuola di Medicina dell’Università della California a San Diego, il SARS-CoV-2 avrebbe seguito un tracciato geografico simile a quello del virus della SARS emerso nel 2002, giungendo a Wuhan tramite diffusione zoonotica, ovvero attraverso un salto di specie da animali a esseri umani.
Wertheim sottolinea che non vi è nulla di eccezionale nel percorso del COVID-19 rispetto a quello della SARS, e dunque non è necessario ricorrere a teorie esterne come quella della fuoriuscita da un laboratorio per spiegare la comparsa del virus nella città cinese. L’affermazione chiave dello studio è che le dinamiche di trasmissione naturale offrono una spiegazione più coerente e verificabile.
Prove genetiche e ambientali collegano il virus al mercato di Huanan
Precedenti studi avevano già offerto forti indizi a sostegno dell’origine naturale del virus. Una ricerca del 2022 ha evidenziato che i primi casi umani documentati erano geneticamente legati a una specifica zona del Mercato all’ingrosso di frutti di mare di Huanan, dove erano ospitati numerosi animali selvatici risultati positivi al virus. Un’altra indagine ha rilevato la presenza di due distinti lignaggi del virus prima della diffusione di una variante predominante tra gli esseri umani.
Inoltre, sono stati identificati diversi animali venduti al mercato che potrebbero aver ospitato ceppi primitivi del SARS-CoV-2, rafforzando l’ipotesi di una trasmissione interspecifica dovuta al contatto tra umani e fauna selvatica.
La lunga distanza tra Wuhan e i luoghi di origine del virus indica un’intermediazione umana
Secondo lo studio più recente, il virus ha avuto origine nella Cina occidentale o nel Laos settentrionale. La distanza geografica da Wuhan, circa 1.500 chilometri, suggerisce che la trasmissione diretta tramite pipistrelli (Rhinolophus spp.) non sia plausibile, vista la lentezza dei loro spostamenti naturali. Questo ha portato i ricercatori a ipotizzare che il commercio di animali selvatici abbia facilitato un passaggio più rapido, così come accaduto nel 2002 con la SARS.
Questo tipo di commercio rappresenta un vettore di trasmissione estremamente efficiente, soprattutto nei contesti urbani densamente popolati, dove il contatto tra animali e uomini è frequente e poco regolamentato.
Rimangono incognite sulla specie ospite intermedia
Nonostante i progressi nella ricostruzione filogenetica del virus, alcuni misteri non sono ancora stati risolti. L’identificazione della specie intermedia che avrebbe agito come ponte tra i pipistrelli e gli esseri umani rimane elusiva. Il professor Wertheim spiega che sono stati individuati alcuni candidati, ma non è ancora possibile confermare con certezza l’anello mancante nella catena del contagio.
I ricercatori ritengono comunque che nei prossimi anni potremmo avvicinarci significativamente all’identificazione dell’antenato diretto del SARS-CoV-2, grazie a nuove tecnologie genomiche e a una maggiore collaborazione scientifica internazionale.
La ripetizione di schemi zoonotici in epidemie recenti
Il ricercatore Jonathan Pekar, sempre dell’UCSD, evidenzia come la dinamica dello spillover dagli animali all’uomo non sia affatto rara. “Assistiamo a questo schema in modo ricorrente: interazioni tra esseri umani e animali selvatici che facilitano il passaggio di patogeni e, a volte, l’innesco di gravi crisi sanitarie.”
Questa osservazione rafforza l’idea che l’emergere del COVID-19 non rappresenti un’anomalia, ma piuttosto un’altra manifestazione della vulnerabilità globale nei confronti delle zoonosi, specialmente in contesti dove la biodiversità è elevata e le interazioni tra uomo e fauna sono intense.