L’influenza delle aspettative negative nella percezione del dolore
Un recente studio pubblicato su eLife ha messo in evidenza come l’effetto nocebo – l’impatto negativo derivante da aspettative sfavorevoli – superi per intensità e durata l’effetto placebo nel contesto della percezione del dolore. Questo fenomeno rivela il potere profondo che ansia, paura e pregiudizi cognitivi esercitano nel modulare la nostra esperienza soggettiva del dolore, anche in assenza di cause fisiologiche oggettive.
Secondo quanto riportato da IFLScience, gli esperimenti hanno mostrato come le aspettative negative possano aggravare il dolore in modo significativo, più di quanto le aspettative positive riescano ad attenuarlo. Questo risultato sottolinea l’importanza della comunicazione clinica, perché anche una frase mal calibrata da parte di un medico può innescare un meccanismo nocebo che persiste nel tempo.
Il disegno sperimentale: un approccio innovativo
Lo studio ha coinvolto 104 partecipanti sani, sottoposti a due sessioni sperimentali a distanza di una settimana. I soggetti sono stati esposti a stimoli termici, accompagnati da informazioni verbali su un presunto dispositivo elettrico in grado di modificare la soglia del dolore. Le tre condizioni previste erano: stimolazione neutra, analgesica (placebo) e potenziatrice del dolore (nocebo).
Durante la prima sessione, gli stimoli termici venivano effettivamente regolati per corrispondere alle aspettative create. Una settimana dopo, invece, tutti i partecipanti ricevevano lo stesso livello di stimolo doloroso, indipendentemente dalle istruzioni ricevute. Ciò ha permesso ai ricercatori di valutare quanto le aspettative condizionassero ancora la percezione soggettiva del dolore, anche in assenza di una differenza reale nello stimolo.
I risultati: il nocebo si radica più profondamente
Il primo giorno, i partecipanti nel gruppo nocebo hanno riportato un’intensità di dolore superiore di 11,3 punti rispetto al gruppo di controllo, mentre quelli del gruppo placebo hanno registrato una riduzione di soli 4,2 punti. Alla seconda visita, nonostante l’identicità degli stimoli, i punteggi rimanevano elevati nel gruppo nocebo, con 8,9 punti in più rispetto al controllo, mentre l’effetto placebo si manteneva più stabile ma contenuto, con una differenza di circa 4,6 punti in meno.
Questi dati suggeriscono che la nostra mente è più sensibile alle minacce che alle promesse di sollievo. Come ha spiegato Katharina Schmidt, neurologa e autrice dello studio, l’effetto nocebo si attiva più rapidamente e permane più a lungo, riflettendo probabilmente un meccanismo evolutivo di sopravvivenza: meglio aspettarsi il peggio e sbagliarsi, che essere colti impreparati da un pericolo reale.
Implicazioni per la pratica clinica
Il peso dell’effetto nocebo non è solo teorico. Conseguenze concrete si osservano nella riduzione dell’efficacia terapeutica, nell’aumento degli effetti collaterali percepiti e nella compromissione dell’aderenza ai trattamenti. Il linguaggio usato dai professionisti sanitari può innescare circoli viziosi psicologici, peggiorando la condizione del paziente anche in assenza di fattori organici.
È quindi fondamentale che medici, infermieri e terapisti siano formati per riconoscere e gestire questi effetti psicologici. La qualità della relazione medico-paziente, l’uso attento delle parole e il contesto comunicativo possono agire da veri e propri strumenti terapeutici, a prescindere dal farmaco o dalla procedura somministrata.
Prospettive future: neuroscienze e imaging cerebrale
Il prossimo passo del team di ricerca sarà indagare le basi neurali degli effetti placebo e nocebo. La ricercatrice Helena Hartmann ha annunciato l’avvio di uno studio con risonanza magnetica funzionale (fMRI) per mappare in tempo reale le aree cerebrali coinvolte nella generazione di queste risposte, offrendo nuove possibilità per migliorare gli approcci clinici e terapeutici.
Fonte dello studio: eLife – Preprint Study on Nocebo vs Placebo Effects
