Le magnetar e il mistero dell’origine degli elementi pesanti
Per oltre cinquant’anni, la scienza ha cercato di capire come si formino gli elementi più pesanti dell’universo, quelli che superano in massa il ferro e che sono ricchi di neutroni. Mentre l’origine di elementi leggeri come idrogeno, elio e litio risale al Big Bang, e gli elementi intermedi sono generati nel cuore delle stelle attraverso fusione nucleare, la provenienza di elementi come oro, platino e uranio è rimasta un enigma.
Ora, una nuova teoria avanzata da un gruppo di ricercatori del Flatiron Institute di New York propone che le magnetar — una classe rara di stelle di neutroni con campi magnetici estremamente intensi — possano essere i luoghi privilegiati per la creazione di questi materiali preziosi.
L’energia cosmica dei brillamenti giganti
Le magnetar si distinguono per campi magnetici che possono superare di milioni di miliardi di volte quello terrestre. A causa delle tensioni interne legate a questi campi, la crosta della stella può rompersi, liberando una quantità colossale di energia sotto forma di brillamenti giganti.
Queste esplosioni sono così potenti da creare, secondo i calcoli, le condizioni perfette per il cosiddetto r-process (processo rapido di cattura neutronica), il meccanismo attraverso cui si generano nuclei atomici pesanti. Un singolo brillamento potrebbe rilasciare elementi radioattivi instabili che, attraverso il decadimento, danno origine a materiali stabili come l’oro.
Il caso SGR 1806–20: un’eruzione da record
Nel Dicembre 2004, gli strumenti terrestri e satellitari rilevarono un’enorme eruzione proveniente dalla magnetar SGR 1806–20, situata nella Via Lattea. All’epoca, fu registrato come un fenomeno eccezionale, ma senza una chiara comprensione delle sue implicazioni.
Soltanto ora, collegando quell’evento con i modelli teorici elaborati dal team di Anirudh Patel (Columbia University) e Brian Metzger (Center for Computational Astrophysics), si è ipotizzato che quel brillamento abbia prodotto una quantità di elementi pesanti pari alla massa del pianeta Marte o di 27 Lune, ovvero 2 milioni di miliardi di miliardi di chilogrammi.
Un contributo decisivo, ma non esaustivo
Sebbene questi flare magnetici estremi possano spiegare fino al 10% della presenza di elementi pesanti nella nostra galassia, la loro rarità e potenza non bastano a giustificare la totalità di tali materiali nell’universo. La presenza di elementi pesanti già nelle galassie giovani, come evidenziato da dati astronomici, suggerisce che processi alternativi o complementari siano ancora sconosciuti o non osservati.
Uno sguardo al futuro: missioni spaziali e nuove osservazioni
Con lo sguardo rivolto al cielo, i ricercatori sperano di ottenere nuove conferme grazie a missioni spaziali in arrivo, tra cui il Compton Spectrometer and Imager (COSI) della NASA, previsto per il 2027. Questo strumento avrà la sensibilità necessaria per rilevare i fotoni gamma emessi da brillamenti simili, permettendo di tracciare nuovi eventi e di convalidare o smentire definitivamente questa teoria.
Fonti:
- Flatiron Institute – Simons Foundation
- The Astrophysical Journal Letters – DOI:10.3847/2041-8213/ad1f72
- NASA – Science News