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Nuova ipotesi sull’origine dell’oro: il ruolo dei brillamenti delle magnetar

By Valeria Mariani
Published 30 Aprile 2025
4 Min Read
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Una scoperta rivoluzionaria nei dati dimenticati

Per decenni, l’origine degli elementi più pesanti del ferro, tra cui oro, platino e uranio, ha costituito uno degli enigmi più affascinanti dell’astrofisica moderna. Se la formazione degli elementi leggeri risale ai primi istanti successivi al Big Bang, e quelli intermedi si sono forgiati all’interno delle stelle morenti, l’origine dei più pesanti ha sempre lasciato spazio a ipotesi. Ora, uno studio condotto da Anirudh Patel della Columbia University, e pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, propone una spiegazione sorprendente e finora trascurata: i brillamenti delle magnetar.

 

Cosa sono le magnetar e perché sono così speciali

Le magnetar rappresentano una classe rara e estrema di stelle di neutroni, oggetti che si formano in seguito al collasso di stelle massicce. Hanno campi magnetici talmente intensi da risultare trilioni di volte più forti di quelli terrestri. In condizioni eccezionali, queste stelle subiscono dei veri e propri “terremoti stellari”, in grado di fratturarne la crosta e di generare esplosioni gamma note come brillamenti giganti.

 

Durante questi eventi, il materiale può essere riscaldato e espulso nello spazio interstellare ad altissima velocità. Ed è in questo contesto che, secondo Patel e il suo relatore Brian Metzger, si potrebbero formare elementi pesanti attraverso il processo r, ovvero la cattura rapida di neutroni.

 

La prova nei dati gamma del 2004

Nel Dicembre del 2004, un raro brillamento gigante fu osservato nella Via Lattea dalla missione Integral dell’ESA. All’epoca fu notato un segnale anomalo nei dati gamma, ma fu accantonato. Vent’anni dopo, incrociando le previsioni teoriche con le osservazioni, Patel, Metzger e Eric Burns della Louisiana State University hanno riconosciuto in quel segnale una potenziale firma della formazione di oro e altri metalli pesanti.

 

Questa scoperta è stata rafforzata dal confronto con i dati delle missioni Rhessi e Wind della NASA, che avevano registrato anch’esse il fenomeno.

 

Una produzione galattica di oro precoce

Le fusioni tra stelle di neutroni erano finora ritenute la principale fonte cosmica di oro, come dimostrato dall’osservazione della kilonova del 2017 grazie ai rilevatori LIGO-Virgo. Tuttavia, queste fusioni avvengono in una fase più tarda dell’evoluzione dell’universo. Le magnetar, al contrario, potrebbero aver iniziato a forgiare elementi pesanti molto prima, spiegando la loro presenza nelle galassie più antiche.

 

Secondo le stime del team, fino al 10% degli elementi più pesanti del ferro nella Via Lattea potrebbe avere origine magnetar. Questo dato apre nuove prospettive sulla chimica primordiale dell’universo.

 

Il futuro dell’astrofisica nucleare con la missione COSI

La NASA sta sviluppando una nuova missione, il Compton Spectrometer and Imager (COSI), con il lancio previsto per il 2027. Questo telescopio gamma, progettato per osservare con maggiore precisione fenomeni energetici estremi, sarà in grado di identificare gli elementi prodotti nei brillamenti delle magnetar, fornendo ulteriori conferme alla teoria di Patel e colleghi.

 

Intanto, il team continuerà a esplorare gli archivi delle missioni spaziali per individuare altri segnali nascosti che possano avvalorare la tesi secondo cui i mattoni dell’universo più preziosi, come l’oro nei nostri gioielli o dispositivi elettronici, siano nati da cataclismi stellari lontani ed estremi.

 

Fonti autorevoli:

  • NASA – The Astrophysical Journal Letters (https://apjl.aas.org)
  • Science News – Heavy elements from magnetar flares (https://www.sciencenews.org/article/gold-heavy-elements-neutron-star-magnetar-flare)
  • ESA – INTEGRAL mission page (https://www.esa.int/Science_Exploration/Space_Science/Integral)
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