I cani: compagni affettuosi ma predatori silenziosi
Nel mondo vivono circa 1 miliardo di cani domestici, un numero sorprendente che rende questi animali i predatori di grandi dimensioni più diffusi sulla Terra. Seguono, molto distaccati, 220 milioni di gatti domestici. Anche se la responsabilità dei gatti sul declino della fauna selvatica è ben documentata, i cani vengono spesso esclusi da questa narrazione, complice l’affetto profondo che li lega all’uomo.
Tuttavia, una nuova ricerca scientifica ha rivelato l’enorme impatto negativo che i cani domestici hanno sull’ambiente. Da predatori addomesticati, continuano a seguire i loro istinti primordiali, danneggiando habitat naturali e contribuendo a una perdita significativa di biodiversità.
L’invisibile pressione ambientale dei nostri amici a quattro zampe
I cani cacciano e spaventano numerose specie selvatiche, non solo attraverso l’aggressione diretta, ma anche con il solo odore, le feci o la marcatura del territorio. Questi segnali sono percepiti come minacce da cervi, volpi e persino linci, che evitano le aree frequentate dai cani, alterando gli equilibri ecologici locali.
Le conseguenze sono visibili in numerosi casi documentati: in Tasmania, le colonie di pinguini minori sono in collasso a causa di attacchi da parte di cani senza guinzaglio. In Nuova Zelanda, un solo cane è stato responsabile della morte di oltre 500 kiwi bruni in appena cinque settimane, mettendo a rischio l’intera popolazione di quell’area.
I cani come fonte di inquinamento e alterazione ecologica
Il cane domestico medio produce circa una tonnellata di feci e 2.000 litri di urina nel corso della sua vita. Questi rifiuti, quando lasciati in natura, possono contaminare corsi d’acqua, modificare la composizione del suolo e diffondere malattie zoonotiche, ovvero trasmissibili anche all’uomo e ad altri animali selvatici. Oltre l’80% dei patogeni presenti nei cani può infettare anche la fauna selvatica.
Anche il cibo ha un impatto notevole: l’alimentazione a base di carne per milioni di cani richiede l’allevamento intensivo di bovini e pollame, con un’impronta ecologica che eclissa quella di interi stati come le Filippine. L’uso di antiparassitari tossici, come quelli contro pulci e zecche, finisce nei fiumi dopo un semplice bagno, distruggendo ecosistemi acquatici delicati.
Effetti comportamentali e biologici sulla fauna locale
L’inquietudine non è solo fisica, ma anche comportamentale e riproduttiva. Le cinciallegre, ad esempio, raccolgono peli di cani per costruire i nidi, ma questo comportamento, anziché essere utile, porta a una diminuzione nella schiusa delle uova e a un aumento della mortalità nei piccoli.
Anche solo la presenza visiva o olfattiva di un cane al guinzaglio può alterare il comportamento degli animali selvatici. Negli Stati Uniti, i cervi reagiscono in modo più allarmato a un essere umano con un cane rispetto a un essere umano da solo, e molte specie li considerano più minacciosi perfino dei coyote.
La responsabilità del padrone: tra amore e consapevolezza
Il legame emotivo che ci unisce ai cani non deve oscurare la realtà del loro impatto ambientale. Possedere un cane non è solo una scelta affettiva, ma anche ecologica. La loro diffusione massiccia comporta un’impronta ecologica reale e tangibile, spesso ignorata per amore.
Essere proprietari consapevoli significa gestire in modo responsabile ogni aspetto della convivenza, dal cibo al controllo nei luoghi pubblici. Perché anche se il piccolo Brutus ci sembra innocuo, la verità è che può – e spesso lo fa – contribuire al declino della biodiversità attorno a noi.