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Chi decide il destino dei territori indigeni? Il caso dei Waorani in Ecuador

By Stefania Romano
Published 28 Aprile 2025
4 Min Read
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La questione dell’autodeterminazione delle comunità indigene, soprattutto in relazione allo sfruttamento delle loro terre, è diventata sempre più centrale in ambito internazionale, e il conflitto tra i Waorani dell’Ecuador e il governo ne è un esempio emblematico.

 

Il diritto internazionale e l’FPIC: una tutela spesso ignorata

Secondo trattati come la Convenzione OIL n. 169 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, i popoli indigeni devono essere consultati liberamente, preventivamente e in modo informato (FPIC) prima di avviare progetti che impattano le loro terre ancestrali. Questo diritto, tuttavia, come mostrato nel caso ecuadoriano, viene spesso aggirato o trattato come una mera formalità burocratica.

 

Il governo ecuadoriano, nel 2011, annunciò l’asta di diritti petroliferi senza una consultazione piena e significativa delle comunità Waorani. L’interazione avvenne in spagnolo, senza interpreti, e senza la presenza dei pikenani, i leader tradizionali. Una violazione palese degli standard di consultazione sanciti dalla Costituzione dell’Ecuador stessa.

 

La risposta delle comunità Waorani: dal tribunale alla resistenza legale

Nel 2019, sedici comunità Waorani vinsero una storica causa legale, dimostrando che i loro diritti erano stati violati. La sentenza criticò il governo per aver gestito l’FPIC come un adempimento puramente formale. Questa vittoria ha avuto un’eco nazionale, spingendo la Corte Costituzionale dell’Ecuador ad avviare una revisione completa delle leggi sulla consultazione.

 

La questione che ora si pone è decisiva: la consultazione deve portare necessariamente al consenso delle comunità o può il governo procedere unilateralmente in nome dell’“interesse pubblico”? Sebbene la Corte nel 2022 abbia stabilito che, in assenza di consenso, si possa procedere solo in “casi eccezionali”, resta aperto il dibattito su quali progetti siano davvero “eccezionali”.

 

Le pressioni dell’industria e il fragile equilibrio dei diritti

Mentre le comunità Waorani continuano a battersi per il diritto di dire no, il governo, spinto dalla crisi economica e dagli accordi internazionali sul petrolio (specialmente con la Cina), continua a proporre nuove aste per l’estrazione nel blocco 22 di Pastaza. Questo mentre l’industria estrattiva mondiale avanza, attirata dalle enormi risorse naturali presenti nelle terre indigene, cruciali anche per le tecnologie moderne a basso impatto di carbonio.

 

Le ricerche condotte da istituti internazionali, come quelle pubblicate su Global Environmental Politics e da Università di Colorado Boulder, rivelano che l’estrattivismo porta non solo a devastazione ambientale, ma anche a povertà estrema, disgregazione sociale, e perdita di autonomia culturale tra le popolazioni indigene.

 

La battaglia culturale e ambientale: “La nostra terra non è in vendita”

Le comunità Waorani non si oppongono semplicemente all’estrazione per ideologia, ma per la consapevolezza profonda che la loro sopravvivenza e quella della foresta amazzonica sono inscindibilmente legate. Nemonte Nenquimo, vincitrice del Goldman Environmental Prize, ha più volte denunciato la contraddizione tra le dichiarazioni di impegno per il clima e la realtà della politica petrolifera del governo.

 

La conoscenza millenaria della foresta, la biodiversità, e la stabilità climatica globale dipendono in larga parte proprio dalla protezione di questi territori. Le loro storie, come ribadito da esperti come S. James Anaya, devono essere ascoltate direttamente nelle sedi giudiziarie e politiche.

 

Conclusione aperta: autodeterminazione o sfruttamento?

Oggi più che mai, con l’espansione delle infrastrutture estrattive e l’aumento delle minacce contro i difensori dei diritti indigeni, la domanda rimane: il diritto dei popoli indigeni di plasmare il proprio futuro sarà realmente rispettato o continuerà a essere sacrificato sull’altare dello sviluppo economico?

 

Le comunità Waorani hanno tracciato una linea chiara: no significa no. Un messaggio che, nel 2025, risuona più forte che mai in ogni angolo della foresta amazzonica.

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