Due estinzioni di massa, avvenute centinaia di milioni di anni fa, potrebbero essere state scatenate da esplosioni stellari. A suggerire questa sconvolgente possibilità è una recente ricerca condotta da tre astrofisici della Keele University, nel Regno Unito, che individua una coincidenza temporale tra due supernove e due fra gli eventi più drammatici per la vita sulla Terra: le estinzioni dell’Ordoviciano e del tardo Devoniano, avvenute rispettivamente 445 e 372 milioni di anni fa.
Durante l’Ordoviciano, circa il 60% delle specie marine – in un’epoca in cui la vita era confinata agli oceani – scomparve nel giro di pochi millenni. Qualche decina di milioni di anni dopo, nel Devoniano, fu il turno del 70% delle forme viventi. Due eventi così devastanti da lasciare un’impronta indelebile nella storia evolutiva del nostro pianeta.
A lungo si è discusso sull’origine di questi cataclismi. Asteroidi, lampi gamma, glaciazioni e vulcanismo estremo sono stati spesso considerati i principali sospettati. Ma oggi, grazie a un approccio astrofisico innovativo, le supernove tornano sotto i riflettori come potenziali colpevoli.
Analizzando la distribuzione delle stelle di tipo OB – corpi celesti molto massicci e instabili – entro un raggio di circa 3260 anni luce dal Sole, i ricercatori hanno effettuato un censimento dettagliato della popolazione stellare vicina, valutando non solo la frequenza delle supernove, ma anche la produzione di resti stellari come buchi neri e stelle di neutroni.
È proprio nel corso di questo lavoro di mappatura che è emersa una correlazione significativa tra la frequenza di supernove relativamente vicine – entro 20 parsec, ovvero circa 65 anni luce dalla Terra – e le tempistiche degli eventi di estinzione. Secondo i calcoli, supernove di questo tipo si verificherebbero in media 2,5 volte ogni miliardo di anni, un dato che combacia sorprendentemente con l’intervallo temporale tra le due catastrofi geologiche prese in esame.
Ma come può una supernova causare l’estinzione della vita sulla Terra? L’energia liberata da un’esplosione stellare è talmente potente da poter eiettare radiazioni ionizzanti e raggi cosmici in tutte le direzioni, colpendo potenzialmente il nostro pianeta. Se la Terra si trovasse troppo vicina – entro poche decine di anni luce – l’effetto più immediato sarebbe la distruzione dello strato d’ozono, che protegge gli organismi dai raggi ultravioletti del Sole. Senza questa barriera naturale, le conseguenze sarebbero drammatiche: aumento delle radiazioni UV, mutazioni genetiche, crollo della catena alimentare e, in ultima istanza, estinzione di massa.
Alexis Quintana, primo autore dello studio, oggi all’Università di Alicante, evidenzia la duplice natura delle stelle massicce: capaci di generare gli elementi pesanti necessari alla formazione di nuove stelle, pianeti e forme di vita, ma anche potenzialmente letali per quei pianeti che si trovano troppo vicini al loro ultimo atto.
Nel corso dell’evoluzione galattica, le supernove hanno arricchito il mezzo interstellare di elementi come ferro, uranio e carbonio, costituendo le basi chimiche per l’origine della vita sulla Terra. Tuttavia, se la teoria proposta fosse confermata, si tratterebbe di un paradosso cosmico: ciò che ha reso possibile l’esistenza della vita potrebbe anche averne causato la quasi totale distruzione.
La possibilità che in futuro si verifichi un simile evento preoccupa solo in parte gli studiosi. Attualmente, le uniche due stelle nel nostro vicinato stellare che potrebbero esplodere come supernove sono Antares e Betelgeuse. Entrambe, però, si trovano a oltre 500 anni luce di distanza: troppo lontane per rappresentare un pericolo immediato. Le simulazioni eseguite finora indicano infatti che una supernova a quella distanza non avrebbe effetti significativi sull’atmosfera terrestre.
Tuttavia, la nuova teoria lanciata dagli scienziati britannici apre un capitolo inedito nello studio delle estinzioni di massa e del ruolo che gli eventi cosmici possono avere avuto nel plasmare il destino del nostro pianeta.