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Gli impianti cerebrali non trasformano l’identità personale: cosa rivelano le storie di chi li ha provati

By Stefania Romano
Published 11 Marzo 2025
8 Min Read
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Nel quinto episodio di The Deep End, Jon Nelson descrive la depressione come una “malattia senza casseruola”. Un’immagine potente, che spiega il senso di isolamento vissuto da chi combatte contro disturbi mentali. Le persone si radunano e offrono sostegno tangibile quando si tratta di malattie come il cancro o un infortunio fisico. Ma la depressione? Nessuno si presenta alla porta con un pasticcio appena sfornato. Questo episodio apre una finestra sulla complessa esperienza di vivere con una malattia mentale e invita a riflettere su domande profonde: da dove nasce il senso di sé? E quale ruolo ha il cervello in questa risposta?

 

La DBS non crea felicità, ma spezza il ciclo della malattia

La stimolazione cerebrale profonda (DBS) non è un interruttore che accende la felicità costante. Come sottolinea Shannon O’Neill, psicologa che lavora con pazienti sottoposti a questa procedura, non si tratta di un dispositivo che “rende felici 24 ore su 24”. Serve a “tirare fuori dal buco”, a offrire una base solida da cui ripartire.

 

Jon Nelson, dopo l’intervento, si definisce “libero dalla malattia”. Non vive una gioia perpetua, ma può finalmente sentire emozioni “normali”: tristezza, rabbia, felicità. La DBS non cancella il suo essere umano, ma toglie quella cappa oscura che lo costringeva a pensare al suicidio ogni giorno.

 

La vergogna legata ai disturbi mentali è ancora viva

Nell’episodio, Laura Sanders approfondisce un tema trascurato: la vergogna e il giudizio sociale che circondano le malattie mentali e i trattamenti disponibili. La depressione, come racconta Emily Hollenbeck, è spesso vista attraverso un filtro distorto. Durante una seduta di terapia elettroconvulsiva (ECT), mentre si preparava per l’anestesia, il medico le disse con tono ironico: “Hai un dottorato in psicologia? È ironico.” Un momento che Emily non dimenticherà mai, nonostante gli effetti collaterali sulla memoria dell’ECT.

 

Il giudizio implicito di quell’anestesista è rappresentativo di un atteggiamento diffuso: l’idea che chi soffre di depressione sia in qualche modo colpevole o difettoso. L’esperienza di Emily dimostra quanto sia difficile sentirsi al sicuro, anche in un ambiente medico.

 

La depressione: una malattia che si vive in solitudine

Jon Nelson definisce la depressione una “malattia senza casseruola”, un disturbo che non riceve la stessa empatia o mobilitazione collettiva riservata ad altre condizioni. Racconta che quando ha condiviso la propria diagnosi, molti hanno reagito con indifferenza o incomprensione. “Hai una vita perfetta. Di cosa hai da essere depresso?” si è sentito dire più volte.

 

Il paragone con altre malattie è impietoso. Se muori di cancro, sei un guerriero; se muori per suicidio, sei uno stigma. La malattia mentale continua a essere vista come una debolezza personale, anziché come un disturbo biologico.

 

La stimolazione cerebrale profonda: una soluzione controversa ma efficace

Il paziente 001, che ha accettato di sottoporsi alla DBS, racconta come la propria famiglia fosse inizialmente scettica. “Farai un intervento al cervello? Sei pazzo?” gli disse sua madre. Ma dopo il miglioramento, anche loro si sono ricreduti. Nonostante l’amore che prova per i suoi familiari, il paziente 001 sapeva che non potevano capire fino in fondo la sua decisione. Ha scelto di confrontarsi con chi aveva vissuto la stessa esperienza.

 

L’intervento di DBS viene spesso descritto in modo fantascientifico, evocando immagini di cyborg o impianti bionici. Ma per chi lo ha provato, l’esperienza è ben diversa. Jon Nelson racconta che la stimolazione non ha cambiato la sua personalità, non ha modificato la sua identità. Ha semplicemente “eliminato il veleno” che lo teneva prigioniero.

 

Cambiare il cervello non significa cambiare chi sei

Molti si chiedono se la DBS possa alterare il nucleo profondo dell’identità personale. Emily riflette su questo tema: “Le persone sono molto più preoccupate per le modifiche al cervello che per quelle al fegato o ai reni. Ma è davvero lì che risiede il nostro io?” Si domanda perché gli interventi neurologici suscitino più inquietudine degli antidepressivi, che pure modificano la chimica cerebrale.

 

Un caso emblematico riguarda un uomo olandese trattato con DBS per il disturbo ossessivo-compulsivo. Dopo l’intervento, sviluppò una passione travolgente per Johnny Cash, un cambiamento che svaniva non appena la stimolazione si interrompeva. Anche se apparentemente innocuo, l’aneddoto evidenzia il nostro timore che un impianto possa manipolare gusti e preferenze senza che ce ne accorgiamo.

 

Riscoprire se stessi dopo la depressione

Per molti pazienti, il vero sé emerge solo dopo che la malattia è stata messa a tacere. Amanda descrive la sua esperienza con queste parole: “Non mi sento diversa. Sono ancora io, ma senza la lotta costante per restare in vita.” Anche Emily riconosce che la depressione ha deformato la percezione di sé per anni. Ora, con la mente libera, può concentrarsi su ciò che ama e recuperare un senso di autenticità.

 

La psicologa Shannon O’Neill propone un esercizio ai suoi pazienti: immaginare una persona che ammirano profondamente, non per il successo materiale ma per i valori che incarna. In questo modo, aiuta a delineare un’identità coerente con ciò che si considera significativo e importante.

 

La vita dopo l’intervento: una versione più autentica di sé stessi

Jon Nelson, oggi, dice di sentirsi più leggero. Non vive più con quel “veleno” che gli rendeva impossibile fare anche le cose più semplici, come rispondere a una telefonata. La sua irritabilità è rimasta, scherza, ma non lo considera un effetto collaterale della DBS. Piuttosto, si vede come un “uomo di mezza età un po’ irritabile”.

 

Secondo sua moglie Barbara, Jon è tornato ad essere presente, coinvolto, produttivo. Non è un uomo nuovo, né un robot. È semplicemente se stesso, senza il peso della malattia.

 

Guardando avanti: il futuro della stimolazione cerebrale profonda

Helen Mayberg, la scienziata che ha contribuito a sviluppare la DBS per la depressione, descrive il percorso di ricerca come “l’esperimento di una vita”. Un passo alla volta, questa tecnologia sta offrendo una possibilità concreta a chi non aveva più speranze.

 

The Deep End, con la voce di Laura Sanders, proseguirà esplorando il futuro della DBS e le storie di chi ha scelto di affrontare l’ignoto per riconquistare la propria esistenza.

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