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Come le piante riescono a ricordare lo stress senza un cervello

By Paola Belli
Published 2 Marzo 2025
5 Min Read
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Contents
Un’abilità sviluppata in milioni di anniImmunità senza cellule specializzateIl prezzo della memoria vegetaleI trasposoni: i “geni saltellanti” della memoriaIl suolo come archivio della memoria delle pianteVerso un’agricoltura più sostenibile

Può sembrare sorprendente, ma le piante possiedono una forma di memoria che permette loro di ricordare situazioni di stress e reagire in modo più efficace a future minacce. Sebbene prive di un sistema nervoso come quello degli animali, le piante hanno sviluppato meccanismi epigenetici e interazioni ambientali che consentono loro di immagazzinare e utilizzare informazioni sugli eventi passati. Questo fenomeno sta attirando sempre più attenzione nella comunità scientifica, soprattutto per il suo potenziale nell’agricoltura e nella resistenza delle colture ai cambiamenti climatici.

Un’abilità sviluppata in milioni di anni

Da quando hanno colonizzato la terra, circa 500 milioni di anni fa, le piante hanno dovuto affrontare innumerevoli sfide ambientali, dai cambiamenti climatici agli attacchi di parassiti e malattie. Per sopravvivere, hanno evoluto strategie difensive avanzate, tra cui la capacità di riconoscere e “ricordare” le aggressioni subite. Questo meccanismo, noto come priming immunitario, funziona in modo simile ai vaccini negli esseri umani: una volta esposte a un agente stressante, le piante attivano una risposta più rapida ed efficace in caso di incontri futuri con lo stesso pericolo.

Immunità senza cellule specializzate

Negli esseri umani e negli altri vertebrati, la memoria immunitaria è gestita da cellule specializzate come i linfociti B e T, che riconoscono gli agenti patogeni e preparano il corpo a difendersi. Le piante, invece, non possiedono queste cellule mobili, ma affidano la loro memoria a cambiamenti epigenetici all’interno del proprio DNA.

Questi cambiamenti epigenetici non modificano la sequenza genetica, ma regolano l’attivazione o la disattivazione di specifici geni, consentendo alla pianta di prepararsi a futuri attacchi senza dover subire ogni volta danni significativi. Tale meccanismo è stato osservato in specie vegetali molto diverse tra loro, dalla piccola Arabidopsis thaliana, che vive poche settimane, fino a grandi alberi come l’abete rosso norvegese, la cui esistenza può superare i 400 anni.

Il prezzo della memoria vegetale

Sebbene la memoria dello stress sia un vantaggio evolutivo, mantenere uno stato di allerta costante comporta un costo per le piante. Il priming immunitario può infatti ridurre la crescita e la produttività, motivo per cui la memoria dello stress è spesso temporanea e tende a svanire con il tempo se la pianta non subisce nuovi attacchi. Tuttavia, eventi di stress molto intensi possono lasciare tracce epigenetiche più durature, che talvolta vengono trasmesse anche alle generazioni successive attraverso i semi. In questo modo, una pianta può trasferire ai suoi discendenti una maggiore resistenza a determinati fattori di stress ambientale.

I trasposoni: i “geni saltellanti” della memoria

Uno dei principali strumenti epigenetici utilizzati dalle piante per conservare il ricordo dello stress sono i trasposoni, frammenti di DNA che possono spostarsi all’interno del genoma. Normalmente, questi elementi sono inattivi perché potrebbero causare mutazioni dannose, ma in situazioni di stress possono essere “risvegliati” per regolare l’attività di determinati geni.

Se una pianta subisce un’infezione o un attacco di parassiti, i trasposoni possono modificare l’espressione dei geni di difesa, preparandoli a una reazione più rapida in caso di una nuova aggressione. Questo tipo di memoria molecolare rappresenta un metodo sofisticato di adattamento, che permette alle piante di sopravvivere in ambienti ostili.

Il suolo come archivio della memoria delle piante

Oltre a conservare informazioni a livello genetico ed epigenetico, le piante utilizzano anche il loro ambiente per immagazzinare la memoria dello stress. Le radici rilasciano nel suolo specifiche sostanze chimiche che attraggono microbi benefici, capaci di proteggere la pianta da future infezioni.

Se questa interazione è abbastanza forte, il suolo stesso può diventare un archivio vivente della memoria della pianta, ospitando microrganismi che continueranno a offrire protezione anche alla generazione successiva di piante coltivate nello stesso terreno. Questo fenomeno è stato osservato in colture come il mais, dove i ricercatori hanno identificato metaboliti secondari coinvolti nel processo.

Verso un’agricoltura più sostenibile

Comprendere i meccanismi con cui le piante ricordano lo stress potrebbe rivoluzionare il mondo dell’agricoltura. Potenziare la memoria epigenetica delle colture e migliorare la loro capacità di interagire con microbi benefici del suolo potrebbe ridurre la dipendenza dai pesticidi chimici e creare varietà vegetali più resistenti alle malattie e ai cambiamenti climatici.

Queste scoperte suggeriscono che le piante sono molto più complesse e sofisticate di quanto si pensasse in passato. La loro capacità di ricordare e reagire in modo intelligente agli stress ambientali le rende protagoniste fondamentali nella ricerca per un futuro agricolo più sostenibile.

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