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Buchi neri supermassicci nelle galassie “piccolo punto rosso”: misteri cosmici e nuove scoperte

By Stefania Romano
Published 11 Febbraio 2025
5 Min Read
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Contents
Buchi neri troppo massicci rispetto alle galassie ospitiUn enigma per l’evoluzione dei buchi neriLe galassie “piccolo punto rosso” e il mistero della crescita rapidaQuali sono le prossime mosse degli astronomi?

Gli astronomi hanno individuato un fenomeno inspiegabile nell’universo primordiale: alcune galassie definite “piccoli punti rossi” ospitano buchi neri supermassicci di dimensioni fino a 1.000 volte superiori a quanto previsto. Questi risultati, ottenuti grazie al James Webb Space Telescope (JWST), potrebbero rivoluzionare la comprensione della formazione ed evoluzione dei buchi neri.

 

Buchi neri troppo massicci rispetto alle galassie ospiti

Negli ammassi galattici vicini alla Via Lattea, i buchi neri supermassicci di solito rappresentano circa lo 0,01% della massa stellare della galassia ospite. Tuttavia, nelle galassie primordiali osservate dal JWST, questa proporzione sale fino al 10%, un valore sbalorditivo. In termini pratici, ciò significa che per ogni 10.000 masse solari di stelle, il buco nero centrale ha una massa di 1.000 masse solari, una proporzione del tutto anomala.

 

Secondo Jorryt Matthee, ricercatore dell’Istituto di Scienza e Tecnologia Austria (ISTA), la massa elevata di questi buchi neri rispetto alle loro galassie ospiti rappresenta una delle sfide più intriganti della cosmologia moderna.

 

Un enigma per l’evoluzione dei buchi neri

Uno degli aspetti più problematici di questa scoperta è la velocità di crescita dei buchi neri supermassicci. Finora, si riteneva che questi giganti cosmici raggiungessero le loro dimensioni colossali attraverso un processo di crescita che richiedeva oltre un miliardo di anni, attraverso fusioni successive e l’assorbimento di materia circostante. Tuttavia, il fatto che buchi neri massicci siano già presenti in galassie esistenti solo 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang solleva nuovi interrogativi.

 

Queste galassie, osservate come “piccoli punti rossi”, appaiono straordinariamente luminose a causa della radiazione proveniente dal disco di accrescimento dei loro buchi neri centrali. Mentre i quasar sono noti per essere tra le fonti di energia più intense dell’universo, i piccoli punti rossi sembrano più numerosi e meno energetici, con proprietà inusuali come una debole emissione di raggi X e una forte emissione infrarossa.

 

Le galassie “piccolo punto rosso” e il mistero della crescita rapida

Analizzando i dati della seconda fase del JWST (All the Little Things – ALT Survey), gli astronomi hanno costruito una mappa 3D dettagliata delle galassie primordiali. I piccoli punti rossi si trovano all’interno della rete cosmica, una struttura filamentosa che collega le galassie attraverso una distribuzione di materia oscura e gas primordiale.

 

Sorprendentemente, questi oggetti cosmici si trovano in regioni a bassa densità della rete cosmica, dove normalmente si sviluppano galassie giovani e di piccola massa. Il fatto che queste galassie ospitino già buchi neri supermassicci suggerisce che la crescita di questi titani sia stata estremamente rapida, favorita da altissime densità di gas che hanno promosso fusioni tra buchi neri residui.

 

Secondo Matthee, il processo più plausibile è che la formazione stellare e la crescita dei buchi neri siano strettamente legate, con i buchi neri che crescono prima delle galassie stesse, raggiungendo una proporzione molto più alta rispetto a quanto osservato oggi. Tuttavia, questa ipotesi dovrà essere verificata attraverso ulteriori osservazioni e simulazioni teoriche.

 

Quali sono le prossime mosse degli astronomi?

Affinché questa scoperta sia confermata, gli scienziati devono escludere possibili errori di misurazione o bias osservativi, che potrebbero aver favorito la rilevazione di buchi neri più attivi e quindi più massicci. Il JWST continuerà a essere essenziale per questa indagine, permettendo agli astronomi di cercare nuove galassie piccolo punto rosso e affinare i modelli evolutivi.

 

Secondo Matthee, il telescopio spaziale ha permesso di scoprire popolazioni di AGN deboli che erano precedentemente nascoste, oltre a creare mappe precise della distribuzione galattica. Queste nuove osservazioni potrebbero portare a una rivoluzione nella comprensione dell’evoluzione cosmica, ridefinendo il ruolo dei buchi neri supermassicci nelle prime fasi della formazione delle galassie.

 

La ricerca è attualmente disponibile su arXiv, ma non è ancora stata sottoposta a peer review.

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