La nuova frontiera della farmacologia: aprire la “porta” delle cellule
Un risultato senza precedenti apre nuovi scenari nel campo della medicina: scienziati americani sono riusciti a introdurre grandi molecole terapeutiche all’interno delle cellule, infrangendo un limite biologico che da decenni ostacolava l’uso clinico di farmaci potenzialmente rivoluzionari. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell, è frutto della collaborazione tra Duke University, Università del Texas a San Antonio e Università dell’Arkansas.
Il successo è legato a una nuova strategia di progettazione dei farmaci, che ha consentito di veicolare all’interno delle cellule molecole di grandi dimensioni, considerate finora troppo ingombranti per oltrepassare la membrana cellulare. Al centro dell’esperimento c’è una promettente classe di farmaci antitumorali, i Protac, che, grazie alla nuova tecnica, sono penetrati fino a 22 volte di più all’interno delle cellule rispetto ai metodi convenzionali, con un’efficacia terapeutica aumentata fino a 23 volte.
Un meccanismo biologico sfruttato in modo inedito: l’endocitosi
La novità assoluta dello studio risiede nella scelta di non puntare sulla diffusione passiva, finora predominante nella progettazione farmacologica. Al contrario, i ricercatori hanno sfruttato l’endocitosi, un processo naturale attraverso il quale le cellule “inghiottono” grandi molecole.
Questo processo è stato reso possibile grazie al coinvolgimento dei recettori CD36, proteine presenti in abbondanza su vari tessuti del corpo umano, in particolare su intestino, pelle, polmoni, occhi e perfino in alcune aree del cervello. I farmaci sono stati modificati in modo da legarsi specificamente a questi recettori, che li hanno poi trasportati oltre la membrana, fino al cuore stesso della cellula.
Un futuro diverso per i farmaci dimenticati
“Era qualcosa che non ci aspettavamo”, spiega Hong-yu Li dell’Università del Texas, tra i principali autori dello studio. “Per decenni abbiamo escluso molecole troppo grandi solo perché ritenute incapaci di penetrare nelle cellule. Ora abbiamo dimostrato che esiste una via alternativa”.
A fargli eco è Hui-Kuan Lin della Duke University: “Questa scoperta potrebbe riportare alla vita centinaia di farmaci scartati per limiti strutturali, trasformandoli in terapie realmente utili contro numerose malattie”.
Lo studio rappresenta un punto di svolta per l’oncologia, ma le sue implicazioni si estendono anche ad altri ambiti, come le malattie neurodegenerative, autoimmuni e metaboliche, dove l’efficacia delle terapie dipende spesso dalla capacità del farmaco di agire direttamente all’interno delle cellule bersaglio.