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Batteri ingegnerizzati per far brillare suolo e colture: il futuro del monitoraggio agricolo

By Stefania Romano
Published 28 Aprile 2025
4 Min Read
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Controllare la salute del suolo potrebbe presto diventare un’operazione semplice ed efficace, grazie a un’innovativa tecnologia sviluppata dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

 

Batteri modificati per rilevare contaminanti e nutrienti

Nel cuore del progetto vi è l’idea di utilizzare batteri geneticamente modificati per segnalare la presenza di sostanze nutritive o contaminanti nel terreno. Questi microrganismi, una volta programmati, sono in grado di emissione di bagliori colorati visibili tramite telecamere iperspettrali montate su droni o satelliti. Un cambiamento radicale, considerando che fino a oggi il monitoraggio richiedeva lunghe analisi di laboratorio e l’uso di microscopi avanzati.

 

Secondo quanto riferito da Christopher Voigt, ingegnere biologico del MIT, questi batteri possono essere adattati a rispondere praticamente a qualsiasi tipo di molecola, dalle tossine ai nutrienti, fino ai metalli pesanti o alla presenza di radiazioni.

 

Tecnologia iperspettrale: il segreto della rilevazione

Il bagliore emesso dai batteri non sarebbe percepibile a occhio nudo. È attraverso l’uso di sofisticate telecamere iperspettrali che è possibile cogliere i minimi cambiamenti nelle lunghezze d’onda della luce, ottenendo immagini ad altissima precisione in tempi rapidissimi, meno di 30 secondi.

 

Queste telecamere sono capaci di analizzare centinaia di lunghezze d’onda sia della luce visibile sia di quella infrarossa, rendendo distinguibili persino le variazioni più sottili nella colorazione dei campi e del suolo.

 

I pigmenti scelti: biliverdina e bacterioclorofilla

Per ottenere questo risultato, i ricercatori hanno eseguito simulazioni meccaniche quantistiche su oltre 20.170 metaboliti, selezionando due pigmenti naturali come migliori candidati: la biliverdina, pigmento verde-bluastro noto per la sua presenza nei lividi umani, e la bacterioclorofilla, utilizzata da alcuni batteri nella fotosintesi.

 

Pseudomonas putida è stato ingegnerizzato per produrre biliverdina, mentre Rubrivivax gelatinosus, un microbo acquatico, è stato modificato per sintetizzare bacterioclorofilla.

 

Applicazioni su larga scala e primi risultati

In fase sperimentale, i batteri sono stati diffusi su campioni di suolo e sabbia posti in scatole aperte. Alcuni dei campioni contenevano dischi sepolti che agivano da target chimico. Le riprese effettuate con droni e telecamere montate su edifici hanno mostrato un bagliore nettamente visibile nei campioni contenenti il bersaglio, con un’intensità fino a 12 volte superiore rispetto ai campioni di controllo, da una distanza massima di 90 metri.

 

Questa capacità di coprire aree ampiamente estese in pochissimo tempo rappresenta un cambiamento epocale per il monitoraggio agricolo e ambientale.

 

Prospettive future e questioni normative

Il progetto, sostenuto da finanziamenti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e del Ministero della Difesa di Israele, solleva interrogativi sulla regolamentazione e la sicurezza ambientale. Yonatan Chemla, esperto del microbioma ambientale del MIT, sottolinea come il team stia lavorando da anni per comprendere a fondo i rischi, i benefici e i paesaggi normativi che circondano questa tecnologia emergente.

 

Secondo gli autori della ricerca pubblicata su Nature Biotechnology, i batteri modificati rappresentano un’ottima soluzione per un monitoraggio continuo, capace di operare anche in condizioni ambientali complesse, su vegetazione naturale, terreno aperto o in ambienti urbani.

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