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Il vaccino contro il fuoco di Sant’Antonio potrebbe anche proteggere dalla demenza

By Sabrina Verdi
Published 4 Aprile 2025
4 Min Read
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Contents
Uno studio osservazionale in Galles evidenzia un possibile legame tra vaccinazione e riduzione del rischio di demenza, soprattutto nelle donneLa demenza e il ruolo inatteso del vaccinoUn approccio naturale simile a uno studio clinicoRisultati più evidenti tra le donneUn effetto che va oltre la protezione dall’herpes zoster?E il nuovo vaccino ricombinante?Verso nuove strategie di prevenzione della demenza?

Uno studio osservazionale in Galles evidenzia un possibile legame tra vaccinazione e riduzione del rischio di demenza, soprattutto nelle donne

Un vaccino sviluppato per prevenire il fuoco di Sant’Antonio potrebbe offrire un ulteriore beneficio sorprendente: ridurre il rischio di demenza. Questa possibile associazione è emersa da un ampio studio condotto in Galles, che ha coinvolto oltre 280.000 individui e ha evidenziato una riduzione relativa del 20% del rischio di sviluppare demenza tra i soggetti vaccinati.

La demenza e il ruolo inatteso del vaccino

La demenza, in particolare quella causata dall’Alzheimer, è una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo. Mentre la scienza medica è ancora lontana da una cura definitiva, ogni strategia di prevenzione conta — e i vaccini potrebbero entrare in gioco in modo del tutto inatteso.

Nel caso del vaccino vivo attenuato contro l’herpes zoster, utilizzato per prevenire il fuoco di Sant’Antonio, i ricercatori hanno osservato che le persone vaccinate mostrano una probabilità più bassa di ricevere una diagnosi di demenza nei sette anni successivi.

Un approccio naturale simile a uno studio clinico

L’elemento innovativo dello studio è il suo design quasi-sperimentale. In Galles, dal 2013, il vaccino è stato offerto gratuitamente alle persone nate dopo il 2 settembre 1933. Questo ha permesso ai ricercatori di confrontare due gruppi molto simili: chi è nato appena prima e appena dopo quella data.

I dati mostrano che tra i nati una settimana prima della soglia di idoneità, solo lo 0,01% ha ricevuto il vaccino. Tra i nati una settimana dopo, la percentuale saliva al 47%. Una differenza sufficiente per analizzare in modo attendibile gli effetti della vaccinazione sulla comparsa della demenza.

Risultati più evidenti tra le donne

Lo studio ha anche mostrato una differenza significativa tra i sessi: le donne vaccinate hanno beneficiato maggiormente in termini di riduzione del rischio rispetto agli uomini. Una possibile spiegazione, secondo gli studiosi, è che i sistemi immunitari femminili rispondano in modo più efficace al vaccino vivo attenuato.

Questa osservazione apre la porta a nuove ricerche sulla relazione tra immunologia di genere e neurodegenerazione, un campo ancora poco esplorato ma potenzialmente decisivo.

Un effetto che va oltre la protezione dall’herpes zoster?

Sebbene il meccanismo preciso non sia ancora chiaro, due ipotesi sono emerse:

  1. Il vaccino riduce il rischio di riattivazione del virus della varicella, che è stato associato all’insorgenza della demenza.
  2. Il vaccino potrebbe avere un effetto sistemico sul sistema immunitario, stimolando risposte che rallentano i processi neurodegenerativi, anche indipendentemente dal virus stesso.

E il nuovo vaccino ricombinante?

Dal 2020 negli Stati Uniti il vaccino vivo attenuato è stato sostituito dal vaccino ricombinante, considerato più efficace e sicuro. Secondo uno studio recente, anche questo vaccino più moderno sembra avere un effetto protettivo ancora maggiore contro la demenza. Tuttavia, il vivo attenuato resta in uso in molte parti del mondo, grazie al suo costo inferiore e alla somministrazione più semplice (una sola dose).

Verso nuove strategie di prevenzione della demenza?

Anche se servono ulteriori ricerche, questi risultati aprono scenari interessanti. I vaccini, già fondamentali nella prevenzione delle malattie infettive, potrebbero un giorno diventare strumenti chiave nella prevenzione delle patologie neurodegenerative.

Un invito alla cautela, però, arriva dalla comunità scientifica: la correlazione osservata non dimostra ancora un rapporto causale diretto. Tuttavia, l’approccio metodologico adottato in questo studio rappresenta un modello efficace per analizzare l’impatto di interventi sanitari su larga scala.

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