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Il lento declino del verde urbano americano e la speranza tra le radici

By Sabrina Verdi
Published 1 Aprile 2025
5 Min Read
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Contents
Un quartiere simbolo e una lotta globaleIl ruolo del clima: dalle piogge intense alla devastazione silenziosaAlberi come esseri sociali e terapeuticiLa sepoltura come forma di resistenzaTra energia pulita e geoingegneria: tre strade per la sopravvivenzaLa politica del clima non si ferma a Washington

Un quartiere simbolo e una lotta globale

Nel cuore della tranquilla Willow Avenue, a Takoma Park, al confine tra Maryland e Washington D.C., il cambiamento climatico ha messo radici in un modo insospettabile: attraverso la scomparsa degli alberi secolari che da sempre definivano il paesaggio urbano. Lì, Mike Tidwell – giornalista e attivista climatico – ha assistito a un crollo silenzioso ma devastante: la morte degli alberi urbani, emblema di salute, benessere e identità collettiva.

Nel suo libro The Lost Trees of Willow Avenue, Tidwell racconta non solo la cronaca di questa perdita, ma anche il dolore collettivo e personale che ne è derivato. La narrazione si intreccia con esperimenti climatici, ricerca scientifica e riflessioni su come il cambiamento possa essere affrontato – o, se non fermato, almeno compreso.

Il ruolo del clima: dalle piogge intense alla devastazione silenziosa

Il declino degli alberi a Willow Avenue inizia con eventi meteorologici sempre più estremi. Dal derecho del 2012 alle piogge torrenziali del 2018, la vegetazione è stata messa alla prova. Ma non è solo l’intensità delle piogge a fare danni: è la loro persistenza, che ha reso il terreno saturo per settimane, attivando agenti patogeni come la Phytophthora, una muffa che attacca le radici degli alberi, in particolare le querce bianche.

Questa catena di eventi ha portato a un fenomeno poco noto ma letale: gli alberi, ormai compromessi, attirano coleotteri ambrosia che li colpiscono quando sono troppo deboli per difendersi. È così che interi isolati hanno perso alberi centenari, trasformando i paesaggi in ricordi e i cortili in spazi vuoti.

Alberi come esseri sociali e terapeutici

Tidwell sottolinea un aspetto troppo spesso ignorato: gli alberi non sono solo arredo urbano. Le ricerche più recenti mostrano che comunicano tra loro, condividono nutrienti e difese, e influiscono sul benessere umano. La loro presenza riduce stress, cortisolo e frequenza cardiaca; la loro assenza, invece, si associa a una maggiore vulnerabilità fisica e mentale.

La perdita degli alberi ha avuto effetti tangibili sugli abitanti: non solo lutto emotivo, ma anche conseguenze sanitarie. Con inverni più miti che favoriscono la proliferazione delle zecche della malattia di Lyme, il declino arboreo ha coinciso con un aumento del rischio per la salute pubblica.

La sepoltura come forma di resistenza

Tra le storie più innovative narrate nel libro c’è quella di Ning Zeng, climatologo dell’Università del Maryland. La sua idea è radicale quanto semplice: seppellire gli alberi morti in suoli poveri di ossigeno per evitare che il loro carbonio venga rilasciato nell’atmosfera. Questo approccio, chiamato carbon burial, potrebbe trasformare migliaia di tonnellate di rifiuti legnosi in una soluzione climatica a lungo termine.

Ma Zeng si scontra con una burocrazia miope, che assimila la sepoltura del legno a una discarica tossica. Nonostante gli ostacoli, riesce a ottenere i permessi per seppellire 100 tonnellate di legno in una fattoria del Maryland, aprendo un possibile sentiero per un approccio nuovo alla gestione dei rifiuti forestali urbani.

Tra energia pulita e geoingegneria: tre strade per la sopravvivenza

Tidwell propone una visione pragmatica ma profonda. Le soluzioni per salvare il clima e i suoi alberi, secondo lui, sono tre:

  1. Accelerare la transizione energetica, abbandonando i combustibili fossili.
  2. Rimuovere CO₂ dall’atmosfera, sia con alberi che con tecnologie emergenti.
  3. Studiare seriamente la geoingegneria solare, come riflettere parte della luce solare lontano dalla Terra, per guadagnare tempo.

Queste opzioni, spiega, non sono alternative tra loro, ma complementari. E devono essere valutate rispetto al contesto attuale, dove la sofferenza è già tangibile. “Non possiamo dire solo che la geoingegneria è rischiosa”, afferma, “senza guardare ai rischi reali di fare nulla”.

La politica del clima non si ferma a Washington

Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, Tidwell non si scoraggia. È convinto che il movimento climatico sia ormai troppo vasto per essere fermato da una singola amministrazione. Gli stati progressisti, l’Europa, la Cina, continuano ad avanzare con politiche verdi. E il cuore del cambiamento è sempre più locale, comunitario, radicato nei quartieri, nelle famiglie e nei movimenti dal basso.

Il messaggio finale è potente: la speranza è una scelta quotidiana, non una conseguenza delle statistiche. È nella comunità, nella scienza creativa, nella tenacia degli attivisti e nella memoria di ciò che è stato perso.

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