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Che fine ha fatto l’acqua su Marte? Le nuove ipotesi che riaccendono il dibattito scientifico

By Valeria Mariani
Published 21 Marzo 2025
5 Min Read
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Un tempo Marte era un mondo ricco di acqua, forse persino simile alla Terra per la presenza di vasti fiumi, laghi e, forse, oceani che modellavano la sua superficie. Oggi, invece, il Pianeta Rosso si mostra come un paesaggio freddo, arido e polveroso, solcato da antichi canali fluviali e profonde valli, memoria di un passato diverso. La domanda che da decenni appassiona gli scienziati è sempre la stessa: dove è finita tutta l’acqua di Marte?

 

Secondo quanto emerge dagli studi più recenti, non esiste ancora una risposta definitiva. Nuove analisi stanno mettendo in discussione teorie consolidate e, di conseguenza, la discussione rimane aperta e vivace.

 

Una nuova revisione delle ipotesi: Bruce Jakosky rianalizza i dati della missione InSight

Il 6 marzo 2025, sulle pagine della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), Bruce Jakosky, uno dei massimi esperti di geologia planetaria e già responsabile scientifico della missione MAVEN della NASA, ha pubblicato una lettera in cui propone un’interpretazione alternativa dei dati sismici raccolti dalla sonda InSight. Secondo Jakosky, l’ipotesi che grandi quantità di acqua liquida siano intrappolate sotto la crosta di Marte potrebbe non essere l’unica spiegazione plausibile.

 

Il suo studio mette in discussione i risultati diffusi nel 2024 dal gruppo di ricerca guidato da Vaughan Wright presso lo Scripps Institution of Oceanography, Università della California San Diego. Il team di Wright aveva proposto un modello in cui la crosta marziana, composta da rocce ignee fratturate, sarebbe quasi completamente saturata di acqua, spiegando così le caratteristiche delle onde sismiche rilevate dal lander InSight, che dal 2018 ha monitorato l’attività interna di Marte.

 

Secondo Wright, sotto la crosta si nasconderebbero enormi quantità d’acqua

Il modello sviluppato da Wright e dai suoi colleghi si basa su dati sismici che mostrano segnali compatibili con la presenza di rocce intrise d’acqua a profondità comprese tra 10 e 12 chilometri. La loro ipotesi suggerisce che, se quell’acqua fosse distribuita sulla superficie, formerebbe uno strato equivalente globale di 1-2 chilometri, paragonabile a un antico oceano. Per confronto, la Terra possiede un strato equivalente globale di 3,6 chilometri, principalmente costituito dalle acque degli oceani.

 

Questo modello, considerato innovativo, ha riacceso la speranza che Marte non sia un mondo del tutto privo di acqua liquida. Tuttavia, il lavoro di Jakosky introduce una nota di cautela.

 

L’alternativa di Jakosky: ghiaccio solido o vuoti nei pori delle rocce marziane

Jakosky e il suo team propongono che la crosta marziana, analizzata da InSight, potrebbe non essere così ricca di acqua liquida. Nei pori delle rocce potrebbe esserci non solo acqua congelata, ma anche vuoti o spazi riempiti d’aria, piuttosto che acqua allo stato liquido. Questa differenza, a livello di interpretazione sismica, potrebbe comunque spiegare le osservazioni fatte dalla missione InSight, senza dover ipotizzare la presenza di enormi riserve d’acqua liquida.

 

Jakosky sottolinea che, in base alle sue stime, la quantità di acqua nella crosta media di Marte potrebbe variare in modo significativo: da zero fino a 2 chilometri di strato equivalente globale, come ipotizzato dal team di Wright. Una forbice molto ampia che evidenzia quanto la questione sia ancora aperta.

 

Le future esplorazioni marziane potrebbero svelare nuovi dettagli

Secondo Jakosky, serviranno future missioni spaziali per raccogliere dati più precisi sulle caratteristiche fisiche della crosta di Marte. Solo misurazioni più dettagliate potranno chiarire se nel sottosuolo siano conservate riserve di acqua liquida, ghiaccio o semplicemente rocce porose e asciutte.

 

Il dibattito sulla sorte dell’acqua di Marte è quindi tutt’altro che concluso. Le scoperte che emergeranno nei prossimi anni potrebbero non solo riscrivere la storia climatica del Pianeta Rosso, ma anche cambiare le prospettive future di esplorazione umana e di ricerca della vita extraterrestre.

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