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Il DNA dei Neanderthal e il cervello umano: come influisce sulla nostra neurologia?

By Valeria Mariani
Published 11 Febbraio 2025
5 Min Read
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Contents
La scoperta dell’eredità genetica dei NeanderthalCome il DNA dei Neanderthal influisce sulla forma del cervelloConnettività cerebrale e influenza sulla percezione sensorialeDNA dei Neanderthal e disturbi neurologiciDNA dei Neanderthal e autismoIl futuro della ricerca sul DNA dei Neanderthal

Il DNA dei Neanderthal è ancora presente nel genoma degli esseri umani moderni di origine europea e asiatica, influenzando diversi aspetti della nostra neurologia. Studi recenti hanno rivelato che alcune varianti genetiche ereditate da questi antichi ominidi possono influenzare la morfologia del cervello, la funzionalità neuronale e persino predisporre a condizioni neurologiche specifiche.

 

La scoperta dell’eredità genetica dei Neanderthal

La prima scoperta dei resti dei Neanderthal risale al XIX secolo, quando vennero rinvenuti i primi fossili in Belgio (1829) e a Gibilterra (1848). Per molto tempo, questi ominidi furono considerati primitivi e brutali, ma ricerche più recenti hanno dimostrato che erano in grado di produrre strumenti, utilizzare simboli, comunicare e persino impiegare piante medicinali.

 

La conferma che alcuni esseri umani moderni possiedono tracce del loro DNA è arrivata solo negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo della paleogenomica, la scienza che studia il DNA antico. La presenza di queste varianti genetiche nel nostro genoma suggerisce che l’interbreeding tra Homo sapiens e Neanderthal abbia lasciato un’impronta ancora oggi visibile.

 

Come il DNA dei Neanderthal influisce sulla forma del cervello

Uno degli effetti più evidenti dell’eredità neanderthaliana riguarda la morfologia cerebrale. Uno studio del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology ha scoperto che alcune varianti genetiche ereditate dai Neanderthal sono collegate a una minore rotondità del cranio negli esseri umani moderni.

 

Le differenze morfologiche sono associate ai geni UBR4 e PHLPP1, coinvolti nella produzione di neuroni e nella formazione della mielina, la sostanza che protegge e velocizza la comunicazione tra le cellule nervose. Un’altra variante neanderthaliana, situata vicino al gene GPR26, potrebbe influenzare il funzionamento dei neuroni, anche se il suo ruolo esatto rimane poco chiaro.

 

Connettività cerebrale e influenza sulla percezione sensoriale

Uno studio successivo ha rivelato che le persone con una maggiore percentuale di DNA neanderthaliano mostrano una maggiore connettività nella corteccia visiva e nel solco intraparietale, regioni del cervello coinvolte nella percezione sensoriale e nel controllo motorio.

 

Questi risultati suggeriscono che i Neanderthal potrebbero aver avuto una percezione visiva molto sviluppata, forse a discapito di altre capacità cognitive, come l’interazione sociale. Questo potrebbe aver influenzato la loro capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali, contribuendo alla loro estinzione.

 

DNA dei Neanderthal e disturbi neurologici

La presenza del DNA neanderthaliano nel nostro genoma è stata collegata anche a disturbi neurologici e psichiatrici. Uno studio condotto su 28.000 adulti di discendenza europea ha scoperto che alcune varianti ereditarie sono associate a un rischio più elevato di depressione, disturbi del sonno e problemi cutanei come la cheratosi attinica, una condizione causata dall’esposizione al sole.

 

Altre varianti genetiche influenzano il trasporto della tiamina (vitamina B1), essenziale per il metabolismo energetico. Questo adattamento potrebbe essere stato vantaggioso per i Neanderthal, che avevano una dieta ricca di carne e frutta secca, ma potrebbe risultare meno efficace per gli esseri umani moderni con un’alimentazione più variegata.

 

DNA dei Neanderthal e autismo

Un altro studio ha evidenziato un’associazione tra varianti genetiche neanderthaliane e un maggiore rischio di autismo. Le persone con autismo tendono ad avere una maggiore frequenza di varianti genetiche rare ereditate dai Neanderthal, sebbene questo non significhi che siano “più Neanderthal” rispetto ad altri individui.

 

Alcune di queste varianti sono state collegate a condizioni cliniche specifiche. Ad esempio, un polimorfismo nel gene SLC37A1 è stato associato a una maggiore incidenza di epilessia nelle persone autistiche. Gli scienziati ipotizzano che questi geni possano essere stati svantaggiosi nel tempo, portando alla loro progressiva riduzione nella popolazione umana.

 

Il futuro della ricerca sul DNA dei Neanderthal

Gli studi sul DNA dei Neanderthal e il loro impatto sulla neurologia umana sono ancora in evoluzione. Queste scoperte non solo ci aiutano a comprendere meglio il nostro passato evolutivo, ma offrono anche nuove prospettive sulla genetica di condizioni come la depressione, l’autismo e i disturbi neurologici.

 

L’ibridazione tra Homo sapiens e Neanderthal ha lasciato un’impronta duratura nel nostro genoma, influenzando aspetti chiave del nostro sviluppo cerebrale. Mentre alcune delle loro caratteristiche genetiche potrebbero averci fornito vantaggi evolutivi, altre potrebbero rappresentare oggi delle vulnerabilità, offrendoci una prospettiva unica su come il nostro cervello si sia evoluto nel tempo.

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