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Il carbone negli Stati Uniti: rallentamenti nel declino, ma il ritorno è improbabile

By Sabrina Verdi
Published 17 Gennaio 2025
4 Min Read
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l carbone negli Stati Uniti sta attraversando una fase di transizione complessa, alimentata da variabili economiche, politiche e ambientali. Con il ritorno di Donald Trump alla presidenza, il tema ha guadagnato nuova attenzione, soprattutto in un contesto di crescente domanda di energia elettrica. Tuttavia, le modifiche recenti riguardano per lo più l’estensione delle date di pensionamento di alcune centrali, senza un reale rilancio del settore.

 

Un caso emblematico è la centrale Gibson Generating Station in Indiana, la seconda più grande del paese. Inizialmente prevista per la chiusura nel 2035, rimarrà attiva fino al 2038. Questo cambiamento, annunciato da Duke Energy, riflette l’adeguamento alle necessità del mercato energetico senza alterare significativamente il destino del carbone negli Stati Uniti. Un’altra centrale di grande importanza è la Plant Bowen in Georgia, la più grande del paese, con una capacità di 3.200 megawatt. Southern Co., proprietaria della centrale, aveva fissato il 2035 come data di pensionamento, ma recenti dichiarazioni del CEO Chris Womack suggeriscono che potrebbe rimanere operativa più a lungo per soddisfare la crescente domanda di elettricità, in particolare da parte dei data center.

 

Questi adattamenti si inseriscono in un contesto politico dove il ritorno di Trump potrebbe portare a un allentamento delle regolamentazioni ambientali. Ridurre i costi operativi delle centrali a carbone è una strategia che potrebbe rallentare il declino di questo combustibile, ma difficilmente ne invertirà la tendenza. La centrale Gavin in Ohio rappresenta un ulteriore esempio di questa dinamica. Venduta recentemente a Energy Capital Partners e Javelin Global Commodities, inizialmente si prevedeva una chiusura entro il 2031, ma l’incertezza normativa e le previsioni di aumento della domanda hanno portato i nuovi proprietari a non definire una data precisa.

 

Secondo i dati della U.S. Energy Information Administration, il carbone ha generato solo il 16% dell’elettricità degli Stati Uniti nel 2023, una drastica riduzione rispetto al 39% del 2014. La capacità complessiva delle centrali è scesa da 300.000 megawatt nel 2014 a circa 176.000 megawatt nel 2023, mentre il fattore di capacità medio, che misura l’efficienza operativa, è passato dal 61% al 42% nello stesso periodo. Questo declino è attribuibile alla competitività di alternative più economiche come il gas naturale e le energie rinnovabili. Un rapporto di Energy Innovation ha dimostrato che il 99% delle centrali a carbone è più costoso da gestire rispetto a una combinazione di energia eolica, solare e batterie.

 

Nonostante alcuni tentativi di mantenere operative centrali esistenti, non ci sono segnali concreti di nuovi sviluppi su larga scala nel settore del carbone. L’unica eccezione potrebbe essere rappresentata da progetti in aree isolate, come quelle minerarie in Alaska, dove il governatore Mike Dunleavy ha ipotizzato la costruzione di due nuove centrali a carbone. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di piani preliminari senza conferme operative.

 

Le tendenze nazionali indicano un cambiamento strutturale nel settore energetico. La transizione verso fonti più pulite è sostenuta da politiche governative, come i 6 miliardi di dollari stanziati dall’amministrazione Biden per progetti di elettricità senza carbonio nelle aree rurali, e da investimenti privati in tecnologie innovative. Anche se alcune centrali continueranno a operare per periodi più lunghi, il carbone appare destinato a rimanere una fonte energetica sempre meno rilevante.

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