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Il legame tra sonno profondo e rischio di demenza

By Mirko Rossi
Published 14 Dicembre 2023
4 Min Read
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Un recente​ studio ha evidenziato un’importante correlazione tra la qualità del⁤ sonno nelle persone anziane e il rischio di sviluppare demenza. In particolare,⁢ si è scoperto che una​ riduzione​ annuale ⁣dell’1% del sonno profondo, noto anche⁢ come sonno a onde lente, nelle persone di età⁤ superiore ai 60 anni, aumenta del 27% il rischio di demenza. Questa⁢ scoperta sottolinea l’importanza di mantenere un sonno profondo adeguato ⁤per ⁤prevenire potenzialmente la demenza.

Contents
Il ruolo del ​sonno profondo nella prevenzione della demenzaLa ricerca e i suoi risultatiLa diminuzione del sonno ‌a onde lenteIl supporto del sonno profondo al cervello invecchianteLa perdita di sonno⁤ a onde lente come fattore di rischio modificabileApprofondimenti e implicazioni dello studioUnicità dello studio Framingham HeartIl cambiamento del‍ sonno a onde lente con l’invecchiamentoIl rischio genetico‍ per la malattia di Alzheimer e il volume cerebrale

 

Il ruolo del ​sonno profondo nella prevenzione della demenza

La ricerca e i suoi risultati

Lo studio, condotto dal Professore Associato Matthew Pase della Monash School of Psychological Sciences e del Turner Institute for Brain and Mental Health di Melbourne, Australia, e pubblicato su JAMA Neurology, ha coinvolto 346 ⁢partecipanti ‌di età superiore ai 60 anni. Questi individui hanno partecipato a due studi sul sonno notturno tra il​ 1995 e ⁣il ⁣1998 e tra ‍il 2001 e il 2003, con ​una media di cinque anni tra i due studi.

 

La diminuzione del sonno ‌a onde lente

I risultati⁣ hanno mostrato che, in media, la quantità di​ sonno profondo è diminuita tra i due​ studi, ⁢indicando una perdita di sonno a onde lente con l’invecchiamento. Durante i successivi 17 anni di follow-up, si sono verificati 52 casi di demenza. Anche tenendo conto di età, sesso, coorte, fattori genetici, fumo, uso di farmaci per dormire, uso di​ antidepressivi ​e ansiolitici, ogni percentuale di diminuzione del sonno profondo annuale ⁢era associata a un aumento del 27% del rischio di demenza.

 

Il supporto del sonno profondo al cervello invecchiante

“Il sonno a onde lente, o sonno ⁢profondo, supporta il cervello invecchiante ⁢in molti ‌modi, e ​sappiamo che il sonno favorisce⁣ l’eliminazione dei rifiuti metabolici dal cervello, inclusa la facilitazione dell’eliminazione delle proteine che si aggregano​ nella malattia di Alzheimer”, ha affermato il Professore Associato Pase.

 

La perdita di sonno⁤ a onde lente come fattore di rischio modificabile

“Tuttavia, fino ad ⁢oggi, non eravamo sicuri del ruolo del sonno a onde lente nello sviluppo della demenza. I nostri ⁤risultati suggeriscono che la perdita di sonno a onde lente può‌ essere un fattore di ⁣rischio ‍modificabile per la demenza”, ha aggiunto.

 

Approfondimenti e implicazioni dello studio

Unicità dello studio Framingham Heart

Il Professore Associato Pase ha sottolineato che lo studio ⁣Framingham Heart è una ⁣coorte comunitaria unica con studi ripetuti sul sonno polisonnografico (PSG) notturno ⁤e una sorveglianza ininterrotta per la‌ demenza incidente.

 

Il cambiamento del‍ sonno a onde lente con l’invecchiamento

“Abbiamo utilizzato questi dati per esaminare come⁢ il ⁤sonno a onde lente cambi con l’invecchiamento e se i cambiamenti nella percentuale​ di sonno‌ a‍ onde lente fossero associati al rischio di demenza nella tarda età‌ fino a 17 anni dopo”, ha spiegato.

 

Il rischio genetico‍ per la malattia di Alzheimer e il volume cerebrale

“Abbiamo anche esaminato se il‌ rischio genetico per la malattia di Alzheimer o i volumi cerebrali ⁢suggestivi di una neurodegenerazione precoce fossero associati a ​una riduzione del sonno a onde lente. Abbiamo scoperto che un fattore di rischio genetico per la ⁢malattia⁣ di Alzheimer, ma non il volume cerebrale, era⁢ associato a⁣ un declino accelerato nel ⁢sonno a onde lente”, ha concluso il Professore Associato Pase.

 

 

In conclusione, questo studio evidenzia l’importanza di un sonno profondo di qualità come potenziale strumento di prevenzione della demenza, aprendo nuove prospettive per interventi mirati a migliorare la salute del cervello negli anziani.

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