Il permafrost artico, uno strato di terreno che rimane congelato per almeno due anni consecutivi, ha un’influenza significativa sulla formazione dei fiumi più settentrionali e, a causa del riscaldamento globale, rischia di rilasciare una notevole quantità di carbonio nell’atmosfera. Una recente ricerca condotta da Dartmouth ha analizzato migliaia di bacini idrografici, rivelando le caratteristiche uniche delle valli fluviali artiche e sottolineando l’importanza di comprendere questi paesaggi di fronte al riscaldamento globale.
La dinamica del paesaggio e la motivazione della ricerca
Il paesaggio terrestre è costantemente modellato da processi come le pendici collinari che lo appianano e forze come i fiumi che lo incidono. La fisica di base di questi processi è nota, ma quando intervengono il congelamento e lo scongelamento, diventa difficile prevedere quale dei due avrà la meglio. Se prevalgono le pendici collinari, il carbonio intrappolato nel suolo rimarrà sepolto. Tuttavia, se il clima si riscalda e i canali fluviali iniziano a prevalere, si assisterà al rilascio di una grande quantità di carbonio nell’atmosfera, creando un ciclo di riscaldamento che porterà all’emissione di ulteriori gas serra.
Le scoperte dello studio e l’analisi
Gli scienziati hanno esaminato la profondità, la topografia e le condizioni del suolo di oltre 69.000 bacini idrografici nell’emisfero settentrionale, utilizzando dati satellitari e climatici. Hanno misurato la percentuale di terra occupata dalla rete fluviale di ciascun fiume all’interno del suo bacino idrografico, nonché la ripidità delle valli fluviali. Il 47% dei bacini analizzati è modellato dal permafrost. Rispetto ai bacini temperati, le loro valli fluviali sono più profonde e ripide, e circa il 20% in meno del paesaggio circostante è occupato da canali. Queste somiglianze persistono nonostante le differenze nella storia glaciale, nella ripidità topografica di fondo, nelle precipitazioni annuali e in altri fattori che altrimenti influenzerebbero l’equilibrio tra acqua e terra. I bacini artici sono modellati da un elemento comune: il permafrost.
Gli impatti del cambiamento climatico e le preoccupazioni future
Studi indicano che l’Artico si è riscaldato di oltre 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, ovvero circa dal 1850. Si stima che lo scongelamento graduale del permafrost artico potrebbe rilasciare tra i 22 e i 432 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2100 se le attuali emissioni di gas serra verranno ridotte, e fino a 550 miliardi di tonnellate se non verranno contenute. L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che il consumo energetico nel 2022 abbia emesso nell’atmosfera più di 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, un record assoluto.
Il paesaggio artico e la sua adattabilità al freddo
L’Artico si è adattato al freddo per così tanto tempo che gli scienziati hanno poche idee su quanto e quanto velocemente il carbonio verrà rilasciato se il permafrost dovesse scongelarsi su una scala temporale accelerata. Sebbene l’Artico abbia sperimentato riscaldamenti in passato, ciò che preoccupa è la rapidità con cui sta avvenendo ora. Il paesaggio deve rispondere rapidamente e ciò può essere traumatico.
La comprensione dei paesaggi artici
La nostra comprensione dei paesaggi artici è più o meno dove eravamo con i paesaggi temperati 100 anni fa. Questo studio rappresenta un importante primo passo nel dimostrare che i modelli e le teorie che abbiamo per i bacini idrografici temperati non possono essere applicati alle regioni polari. Si apre un nuovo insieme di porte per comprendere questi paesaggi.
Carote di sedimenti raccolte dall’Artico hanno mostrato un esteso deflusso del suolo e depositi di carbonio circa 10.000 anni fa, suggerendo una regione molto più calda di quella attuale. Oggi, aree come la Pennsylvania e gli Stati Uniti del Medio Atlantico, appena a sud dell’estensione massima dei ghiacciai dell’era glaciale, prefigurano il futuro dell’Artico moderno.